DIRITTI E... ROVESCI IN FAMIGLIA
La premessa di questo laboratorio, che
possiamo definire internazionale per l’apprezzata presenza di Anne Berger
(avvocato di Boston e Presidente dell’ICCFR), si basa sulla consapevolezza che in
famiglia, anche se si viaggia spesso con una certa turbolenza e alle volte
addirittura ‘volano i piatti’ (come ha detto un illustre argentino), non per
questo le decisioni sul ménage familiare, sull’educazione dei figli e sulla
miriadi di problematiche che giornalmente investono un gruppo familiare, si
prendono sul filo del Diritto e con il codice alla mano o tenendo l’avvocato in
‘vivavoce’ sul telefono.
La legge naturale del vivere comune e
la tradizione familiare del paese dove viviamo in genere ci aiutano a risolvere
le crisi e a superare gli ostacoli.
I conduttori, dopo aver introdotto il
questionario di autoascolto sulla Diversità,
e partecipato alla discussione su di essa, hanno introdotto i due casi
di studio del laboratorio, che per i motivi internazionali di cui parlavamo,
uno è un caso italiano l’altro è un caso americano.
IL CASO ITALIANO
Quotidiano
La Repubblica, agosto 2018: Cerca per 4
anni i figli minori e scopre che sono tornati in Italia. L'uomo ha
denunciato la moglie per sottrazione internazionale dei bambini e chiede misure
cautelari affinché lei non li riporti in Israele.
La
storia: la moglie è scomparsa un giorno di quattro anni fa, portando con sé i
due figli minori di 12 e 10 anni.
La
sera dell'8 maggio 2014 l'uomo rientrò in casa dal lavoro verso le 21 e non
trovò nessuno. Dalla centrale dei taxi scoprì che nel pomeriggio la moglie e i
bambini, con alcune valigie, si erano diretti verso l'aeroporto. Allora
contattò la polizia di frontiera nella speranza che fossero ancora
raggiungibili. Invece erano partiti poco prima delle 20 su un volo per
Barcellona, destinazione finale Tel Aviv.
Da
allora il marito ha percorso ogni possibile strada per far tornare i bambini in
Italia. Invano. Unico risultato delle sue denunce: un processo in contumacia
nei confronti della moglie per sottrazione internazionale di minori. Nel mese
di agosto scorso ha scoperto che lei e i figli, oggi di 16 e 14 anni, sono in
Italia. Ha potuto anche vederli per pochi minuti. Vorrebbe non perderli più ma
si profila il rischio, assai concreto, che la moglie riparta con i ragazzi e
sparisca di nuovo per anni. Il reato di sottrazione internazionale di minori
non consente l'arresto.
La vicenda è complicata dal fatto che il
padre, 54 anni, è nato in Iran e la madre, 45 anni, a Nazareth, nello Stato di
Israele. Si erano conosciuti a Firenze, si erano sposati nel 2001 e lavoravano
insieme al mercato di San Lorenzo. I due figli sono italiani. La serenità della
famiglia è stata turbata da una grave malattia che ha colpito la donna e che
l'ha molto provata, allontanandola dal marito, che lei accusava di essere avaro
e troppo severo.
IL CASO AMERICANO
Il
marito e la moglie si sono sposati nel 1988. La moglie ebrea e il marito cattolico. Prima di sposarsi, marito e moglie
hanno discusso di quale educazione
religiosa impartire ai loro futuri bambini e hanno concordato che sarebbero
stati cresciuti con il rito ebraico.
Nel
1991 il marito diviene membro della Chiesa di Cristo di Boston (la Christian
Science, Scienza Cristiana, è un movimento religioso cristiano metafisico e
conservatore fondato nel 1879 negli Stati Uniti d'America).
Nel
1994 la moglie, che nel frattempo aveva adottato l'ebraismo ortodosso, chiede
il divorzio dal marito, dal quale, comunque, scaturisce l’affido condiviso ed
una responsabilità solidale per l’educazione dei figli.
Dopo
un certo periodo i bambini, all’epoca di 8 e 10 anni, hanno confessato alla
madre che avevano paura per lei, perché sarebbe andata all’inferno se non
cambiava la sua religione, come diceva il papà, che ripeteva loro che l’unica
vera religione era la sua.
A
questo punto la moglie ha iniziato a sottrarre i figli dalle attenzione del
padre, soprattutto per quanto riguardava l’educazione religiosa, mentre l’ex
marito ha obiettato che non poteva consentire alcuna limitazione al suo diritto di istruire i bambini nella sua fede.
Per
questo sono finiti in Tribunale.
Il
giudice ha rilevato che i genitori erano d’accordo in molte cose rispetto
all’educazione dei figli e ha dato loro diritti uguali, tranne che per
l’educazione religiosa.
Il
giudice ha ritenuto, infatti, che non è possibile lasciare ogni genitore libero
di impartire ai figli la propria fede,
se questa si manifesta sostanzialmente dannosa per i bambini. Poiché la
religione del marito insegnava che coloro che non accettano la sua fede sono
"dannati e destinati ad andare all'inferno", il giudice ha stabilito
di vietare al marito di insegnare ai bambini tutti i dogmi della sua religione. Pena una salata multa
per vilipendio alla Corte. Mentre i figli possono continuare a seguire la
religione della madre.
IL RESOCONTO DEL GRUPPO
All’inizio
ogni partecipante al laboratorio ha ricevuto una scheda con sette domande di
facilitazione all’autoascolto. Dopo qualche minuto di riflessione individuale
sulle prime due domande, è stato svolto un lavoro di condivisione:
1.
Quale significato ha per te la parola diversità?
2.
Come ti sei sentito nell’ascoltare la relazione della mattina?
È
stato dapprima espresso il piacere dovuto da una parte all’aver recepito il
concetto di “neurodiversità”, nuovo per tutti e introdotto in mattinata dal
relatore, il regista Francesco Falaschi, dall’altra (in riferimento sia ad
alcune clip della mattina sia al film visto la sera precedente) alla
circostanza, non comune per un regista, di aver realizzato un film
soffermandosi a descrivere sentimenti costruttivi e le risonanze da essi
suscitate, grazie ad un atteggiamento più libero, simile a quello dei bambini,
da parte delle persone coinvolte nella vicenda narrata.
Di
seguito, è stata messa in rilievo la particolare atmosfera creata nelle scene
viste, consentita dalla presenza della figura dell’ “angelo visitatore” (incarnata
da uno dei personaggi) e definita dal regista stesso come atmosfera di profonda
umanità, caratterizzata dalla rottura dei consueti schemi comportamentali e
comunicativi che hanno dato luogo allo sviluppo di un nuovo tipo di relazione
nell’evoluzione delle vicende raccontate. A questo proposito, in riferimento
particolare alla scena tratta dal film “Conta su di me”, è stato notato come il
cambiamento avvenga in modo “traumatico” in considerazione del fatto che il
bambino al centro della vicenda (abbandonato dal padre di cui nel frattempo si
è creato un’immagine idealizzata) viene riportato alla realtà dallo zio in modo
diretto e molto duro, facendogli affrontare il rifiuto del padre accompagnato
anche dalla rissa tra i due adulti. Se da una parte è stato osservato che nei
confronti di un bambino bisognerebbe adottare modalità più adatte (ed è stata
ricordata la reazione del bambino che nel film si esprime con un non verbale
pieno di segnali di dolore), dall’altra è stato evidenziato che, evidentemente,
quella messa in atto era la modalità che maggiormente rispecchiava il modo di
essere dello zio, con il successivo commento che l’autenticità della persona
(agita conseguentemente) è fondamentale. Ci si è confrontati, in sostanza, su
due possibili modi di mettere davanti alla verità, rilevando anche come la
vicenda proponeva una messa in discussione di schemi familiari di chiusura, una
destabilizzazione portata dall’arrivo di un elemento esterno che avrebbe potuto
produrre un cambiamento.
Ci
si è soffermati dunque a definire il concetto di diversità in questa
prospettiva, in riferimento al modo di essere e di vedere di ogni individuo,
che quindi può piuttosto essere considerata “normalità” dal punto di vista di chi quel
modo incarna ed agisce, definendo quindi la sua autenticità. Il gruppo si è
quindi interrogato sul modo migliore di rivelare una realtà dolorosa, tra
desiderio di verità e di protezione, partendo dalla vicenda descritta nel film
per poi ampliare lo sguardo ad altre situazioni, in particolare ad una
circostanza molto delicata come quella del modo (ed anche del momento) più
adatto per comunicare un lutto.
È
stata anche messa in rilievo la necessità di chiarire come padre e figlio erano
stati, eventualmente, preparati all’incontro e cosa avrebbe potuto fare di
diverso la compagna del padre che è sembrata piuttosto la custode degli schemi
familiari di chiusura. Questo suggerimento è stato chiarito con l’osservazione
che il contesto è fondamentale e che alla fine è la relazione che salva, con
riferimento sia al rapporto tra zio e nipote in “Conta su di me” sia a quello
tra la psicologa (e poi anche Arturo, il nuovo arrivato in qualità di cuoco) e
i suoi ragazzi in “Quanto basta”. Infine è stato espresso l’apprezzamento in
particolare per i familiari di quei ragazzi del film e in generale dei
familiari delle persone “neurodiverse”.
Il
gruppo è poi passato ad esaminare due casi reali proposti da Anne e Maurizio.
Il
primo caso, verificatosi in Italia ma con protagonisti genitori di origine
straniera (padre iraniano e madre israeliana), riguardava la problematica della
sottrazione internazionale di minori da parte della madre.
Ci
si è soffermati a condividere le risonanze che i presenti hanno ricavato
dall’ascolto della vicenda, con lo stimolo fornito da due successive domande
della scheda:
3.
Come ti sei sentito nell’ascolto attivo del caso?
4.
Cosa ti ha colpito maggiormente nella storia raccontata?
È
stata espressa una sensazione di impotenza dovuta ad un’impreparazione sul
piano giuridico. Qualcuno ha manifestato un senso di vicinanza al padre per
l’immedesimazione con la sua condizione emotiva nel rientrare a casa la sera e non
trovare più la sua famiglia, ipotizzando il suo senso di vuoto, di abbandono,
ingiustizia, tradimento, che ha ispirato la sua reazione rabbiosa. C’è stato chi ha espresso indignazione nei
confronti della donna che, a compensazione della difficoltà indotta dalla
malattia e della sensazione di sentirsi trascurata dal marito (fuori casa tutto
il giorno, da lei accusato di essere avaro e severo), ha usato i figli per
punirlo.
Un
altro aspetto intorno al quale si è centrata la condivisione di gruppo è stato
quello della posizione dei figli, vittime fondamentalmente di una fatale
mancanza di comunicazione: tra i genitori impegnati nel loro dissidio personale
e tra i vari servizi di assistenza che non sono intervenuti. Ci si è chiesti
allora in quella situazione chi si è preso cura di loro, al di là delle
decisioni legali. Altre osservazioni legate a questo aspetto hanno riguardato
lo sconcerto per il fatto che nessuno avesse intercettato i bisogni della
famiglia, la diffidenza dei musulmani nei confronti dei servizi sociali, quanto
in generale oggi siamo delle monadi e nessuno ci vede, l’evoluzione della
famiglia “stretta e lunga”, cioè come realtà sempre più ristretta e perciò manchevole
di sostegni tra parenti e familiari.
Il
secondo caso, verificatosi negli Stati Uniti, riguardava un conflitto religioso
all’interno di una coppia in riferimento all’educazione dei figli.
La
condivisione è stata orientata da due domande della scheda, simili a quelle
relative al primo caso, a cui sono state aggiunte le domande di un’altra scheda
nel proporre di immaginare di essere impegnati come consulenti in un colloquio
con i protagonisti maschili delle due vicende:
1.
Se si presentasse da te il padre iraniano, a cui la moglie ha sottratto i
figli, chiedendo di essere aiutato ad affrontare la sua attuale situazione,
come ti sentiresti?
2.
Avresti qualche difficoltà ad accettare o accogliere l’altro diverso da te?
Le
altre due domande era uguali in riferimento al padre americano, frustrato dal
fatto di non poter parlare con i figli del suo credo (in base ad una sentenza
del giudice).
Riguardo
al primo caso, è emerso di nuovo il disagio della limitata preparazione
giuridica, quindi l’opportunità di ricevere una formazione adeguata al
riguardo, con la formulazione dell’ipotesi (in riferimento alla simulazione
proposta) di consultare un avvocato e verificare il vissuto dell’uomo, pur
facendo comunque riferimento al senso della domanda emersa da parte di
quest’ultimo. A questo proposito è stato osservato che avere nozioni di diritto
è importante proprio come averne in riferimento alla cultura del cliente
straniero. Entrambi gli interventi hanno anticipato lo spunto fornito dalla
domanda successiva (Ritieni importante possedere nozioni di diritto penale e/o
diritto internazionale per portare avanti questi casi?).
È
stato anche osservato che in ogni caso ciò che conta è la disponibilità
all’ascolto, attivando empatia ed accettazione, prima di porsi il problema di
cosa fare, con successiva ipotesi di lavoro in equipe (e di invio nel caso la
situazione susciti risonanze nel consulente). In particolare è importante
ascoltare ciò che il cliente porta in consulenza, quindi la sua percezione
della vicenda, senza voler stabilire verità, torto o ragione. È stata
sottolineata anche l’importanza di orientarsi verso un’azione di supporto alla
genitorialità; che più della norma, per la consulenza è importante la persona e
il suo vissuto; la possibilità di usufruire della supervisione.
In
riferimento al secondo caso, è stato osservato che è importante porre al centro
il sistema valoriale del cliente, ma senza mettere da parte quello del
consulente che potrebbe essere motivo di un utile confronto; che potrebbe
esserci qualche difficoltà da parte del consulente nel gestire l’atteggiamento
di intolleranza religiosa manifestata dal padre americano, che lo ha portato ad
esprimere giudizi sulla moglie con un credo diverso, soprattutto in
considerazione del fatto che quell’intolleranza recava danno ai figli. È stata
anche proposta l’opportunità di approfondire la qualità della relazione di
coppia a monte del conflitto religioso (ipotizzando che l’adesione ad una
dimensione estrema delle rispettive confessioni da parte di entrambi potesse
essere stata indotta da problematiche già preesistenti) e di dare forza all’idea
riguardante l’importanza di sostenere la relazione genitoriale per il bene dei
figli, che vanno in confusione per i messaggi conflittuali da parte dei
genitori, inducendo il cliente a considerare che le sue convinzioni possono non
necessariamente essere il meglio per i figli.
In
riferimento all’ultima domanda (Su quali risorse del cliente potresti contare
per rendere efficace il percorso di consulenza e quale metodologia o strumento
riterresti più efficace da utilizzare?), per il padre americano è stato
osservato che, al di là di quanto appena espresso, è fondamentale aiutarlo a trovare la sua soluzione di fronte
alla sentenza del giudice (la frustrazione di non poter concretizzare il suo
desiderio), trovando sue risposte e risorse, per cui è prioritario definire
chiaramente l’oggetto della consulenza. Per il padre iraniano è stata
individuata l’opportunità di chiedergli di difficoltà che ha potuto trovare
nell’inserimento nella realtà sociale italiana, perché questo potrebbe aiutare
a capirlo meglio.
Sergio Pepe