-AREA SESSUALE:È LA DIFFERENZA CHE FA LA DIFFERENZA
La
sessualità è il modo d’esserci dell’uomo. Essa è legata a due dimensioni
fortemente intrecciate: una rimanda alla relazione, al desiderio di incontro e
scambio globale, ai sentimenti d’amore e d’affetto: l’altra a componenti quali
la genitalità, l’erotismo, la corporeità, la ricerca del piacere. Inoltre
favorisce una riflessione non solo sul senso del piacere ma anche all’opposto
sul confronto con il dolore. La sessualità è piacere di comunicazione ed
espressione diretta della soggettività di ogni persona. Se la sessualità è
modalità globale della persona e assorbe la funzione comunicativa, affrontare
il tema della sessualità della persona con handicap significa parlare anche di
accettazione, emozione, ma soprattutto della comunicazione dell’emozione. Questo laboratorio entrando nella tematica ha approfondito come, attraverso
la metodologia consulenziale, si possa promuovere una educazione sessuale ed
affettiva anche nella disabilità. Il confronto tra noi
colleghi consulenti, ha suscitato forti reazioni e profonde riflessioni. Quella
che indubbiamente ci accomuna tutti, è relativa al fatto che parlare di
sessualità nella disabilità, ci ha fatto comprendere come in tutti noi è mancata e manca una educazione sessuale.
Ci
ha messo di fronte alla nostra storia sessuale, ai nostri vissuti storici e ci
ha rimandato domande abbastanza provocatorie: qual è il rapporto che ho con il
mio corpo? Quanto le questioni morali e religiose hanno influenzato il nostro
modo di percepire la sessualità? Che significato diamo quando tocchiamo o
veniamo toccati semplicemente da una carezza? Tendiamo spesso a vedere le
persone “diversamente abili”, come dei bambini, come se il tempo per loro si
fermasse a quella parte del ciclo vitale che è l’infanzia e questo ci porta a
calare soluzioni dall’alto rischiando di non mettere al centro la persona che
abbiamo di fronte nella sua unicità ed irripetibilità. Pertanto il primo
intervento socio-educativo che un consulente familiare è chiamato ad attuare, è
proprio quello di guardare all’individuo con lo sguardo del “qui ed ora”,
centrando il suo bisogno affettivo-sessuale e relazionale, nel tentativo di trovare
strategie per stimolare le sue potenzialità o le sue positive risorse interne.
Dunque, non ci mettiamo nei panni del salvatore, ma prestiamo doniamo aiuto
anche alle famiglie, agli educatori preposti in un clima di ascolto attivo e di
accettazione per trovare la soluzione più efficace. Un altro elemento
importante da tenere in considerazione è l’aspetto relazionale in quanto non
sempre si tratta solo di scariche pulsionali, di erotismo o di attività legate
alla sfera genitale, ma spesso, soprattutto quando abbiamo di fronte un
handicap non intellettivo, si tratta di gestire e lenire dolori legati alla
sfera dei sentimenti o di innamoramenti feriti e rifiutati. Un consulente
familiare che si approccia a queste tipologie di casi, è chiamato a destrutturarsi,
elaborando al meglio il proprio vissuto sessuale per potersi dedicare con
serenità e libertà a quella altrui evitando così di trasferire la propria
normalità. A questo punto, potrebbe essere necessario anche interagire con una
rete di servizi sociali affinchè possano interessarsi praticamente della
sessualità del soggetto portatore di handicap, attraverso dovuta formazione.
Il
caso che abbiamo sviluppato è relativo alla storia di una donna che si trova
con un figlio disabile che non la percepisce più come madre, ma come donna.
Pertanto, la madre, è costretta a trovare delle scuse per demandare alcuni
servizi al marito. Tenendo conto della sensibilità di ogni consulente
familiare, nel nostro laboratorio sono emerse due ipotesi di lavoro:
1- Ci concentriamo sull’ascolto della signora, quindi al centro della
consulenza c’è lei, come madre e come donna, ci soffermiamo sul suo sentire
profondo e sulla sua identità di madre. Eventualmente, se necessario e
richiesto, si può lavorare sulla coppia genitoriale per meglio gestire il
disagio con il figlio.
2-Ci concentriamo sull’ascolto della signora Marta in un clima di accoglienza
e dialogo prendendoci cura delle sue ferite, concentrandoci sul suo sguardo di
madre e aiutandola a capire il suo rapporto personale con la sua sessualità.
L’atto educativo si rende sempre necessario in modo dialogico per schiudere
strade di risoluzioni. Un altro aspetto che abbiamo tenuto in considerazione
riguarda il prevenzione di quelle situazioni in cui ci potrebbero essere
situazioni di violenza o di possibili gravidanze: in questo caso l’intervento
mira al supporto dei genitori, sempre attraverso un lavoro di dialogo ed
ascolto.
Nello stesso workshop siamo stati affascinati anche dal metodo teen-star,
un programma di educazione affettiva-sessuale che tiene conto delle
costitutività della persona. Avanziamo la richiesta ad AICCeF di mandare un
gruppo di Consulenti familiari a specializzarsi in questo settore.
In conclusione, possiamo ragionevolmente affermare che la Diversità insegna
l’alternativa di trovare modi diversi per poterci relazionare sempre e con
chiunque a qualsiasi livello.
Cacco e Battigaglia