SEI IL VISITATORE

LABORATORIO 3 di ROSSI E SINIGAGLIA

“Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore per tutti (…) La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa perché le circostanze sono divere.”
                                                    Emile Durkheim
PREMESSA AL LABORATORIO   
Il laboratorio si è sviluppato in tre fasi
1)    Abbiamo iniziato i lavori a partire da stimoli offerti dai relatori tramite slide
2)    Si sono poi proposte alcune attivazioni (che riportiamo di seguito) utilizzabili in corsi e incontri di gruppo.
3)    Infine si è lavorato su due casi dividendosi in gruppi e poi operando delle simulazioni dei casi proposti in cui i colleghi si alternavano nel ruolo di consulente mentre i relatori impersonavano i soggetti in consulenza.
FASE 1 DEL LABORATORIO: STIMOLI TEORICI
LA PLURALITA’ DI REALTA’ SOCIO FAMILIARI 
Oggi la condizione genitoriale si ritrova a dover affrontare una grande pluralità di realtà e situazioni. Accanto alla tradizionale presenza di entrambi i genitori, emergono con sempre maggiore frequenza tutta una serie di realtà nuove:
      presenza di un solo genitore
 necessità di continuare a svolgere le funzioni genitoriali in situazione di separazione e divorzio
      ricomposizione di famiglie separate
 costituzione di nuovi nuclei familiari che includono figli di differenti genitori
      famiglie omosessuali
      situazioni multietniche, adozione e affidamento.
     
LO SPAZIO ACCOGLIENTE. Si afferma sempre  più l’esigenza di  FAMIGLIA COME   SPAZIO ACCOGLIENTE  CHE NON ABBIA  PRETESE DI OMOLOGAZIONE O POSSESSO  VERSO I SUOI COMPONENTI  E CHE  SAPPIA TRARRE DALLA DIVERSITA’ DI CIASCUNO E  DALLE  DIFFERENZE  ( DI GENERE E GENERAZIONI) NUOVE OPPORTUNITA’ EDUCATIVE
Se gli studi socio-antropologici hanno mostrato l’ampia gamma di forme e strutture che la famiglia può assumere, interpretando i cambiamenti delle forme familiari come risposte adattive alle trasformazioni sociali, la ricerca psico-sociale ha messo in evidenza come una stessa struttura si possa associare a una molteplicità di modelli di relazione. Ciò che l’adozione di una prospettiva complessa e dinamica nell’analisi delle relazioni familiari ha fatto emergere è soprattutto la variabilità che caratterizza l’intreccio dei rapporti tra le generazioni e tra i generi.
le figure genitoriali stanno abbandonando gli schemi rigidi del passato ma non sanno ancora prefigurarsi il nuovo.  In questo scenario di  trasformazioni  familiari va ad  inserirsi
·        il rapporto tra le generazioni ( anche tre/quattro generazioni nello stesso nucleo familiare) in cui si evidenziano numerose criticità
·        La perdita di prestigio e considerazione delle generazioni più anziane come depositarie dell’esperienza e della tradizione culturale ha lasciato un vuoto non facile da colmare
·        Un adulto (MADRE/PADRE)che fa fatica ad accogliere la responsabilità educativa  a  cui è chiamato a farsi carico  dai bisogni del minore
·        La nuova famiglia nucleare sempre più modellata sulle esigenze del mondo produttivo che lascia poco spazio alla funzione educativa
·        I giovani che  hanno bisogno di adulti significativi che trasmettano  loro modelli di riferimento solidi  e che sappiano integrare educazione e affettività
Tutto ciò pone i genitori di fronte a nuove sfide educative  e nuovi interrogativi.
LA SFIDA DELLA DIVERSITA’. Educarsi  nella diversità, alla diversità, con la diversità partendo dall’assunto che ogni uomo è unico e irripetibile, quindi diverso dall’altro. Proprio per questo ciascuno  è ricchezza, è dono per l’altro. La presente epoca potrebbe essere definita come l’epoca delle paure.
Ci sono paure che potremmo definire cicliche, nel senso che tendono a ripresentarsi periodicamente in ambienti e momenti storici con caratteristiche simili. Il significato del termine “paura” allora cambia in base all’oggetto che la genera: la paura della Guerra, la paura degli stranieri, la paura delle polveri sottili, la paura del futuro, “abbiamo paura per i nostri figli”, “per i nostri nipoti”…
Oggi in ambito educativo abbiamo paure che convergono su tre aree semantiche:
·        La distopia
·        Il fatalismo
·        La mixofobia
La distopia è correlate alla perdita del senso del sogno, dell’utopia.I nostri giovani dovrebbero dimostrare di possedere una gran forza di carattere per non restare impressionati dalla valanga di visioni apocalittiche che riversiamo loro addosso quotidianamente. Basta aprire la prima pagina di un quotidiano o ascolatre I primi 5 minuti di un telegiornale per rendercene conto. Ecco vecchie e nuove generazioni tutte affette da dystopia: temono per il futuro,sia in ambito sociale che lavorativo.. la mancanza di sogni porta tutti - noi, loro, la società - a non progettare, a non sperare.
Il fatalismo è tipico ad es. dei sistemi familiari rigidi, chiusi, laddove si sente un forte bisogno di appartenenza piuttosto che di differenziazione: si sente il bisogno di proteggersi uniformandosi, aderendo rigidamente a regole formali. L’obiettivo non è lo stare bene e la serenità, bensì l’incolumità. A livello sociale il fatalismo si afferma così: all’insicurezza oppone il mito della flessibilità: es. bisogna adattarsi alla perdita del lavoro, e ringraziare perchè il licenziamento è un’opportunità (resilienza gestita dal potere).
La mixofobia (paura di mescolarsi con chi è visto diverso da sé) si accompagna spesso alla xenofobia (la paura dello straniero). “In questa nuova stagione dobbiamo imparare ad accettare il mistero e l’enigma di chi non conosciamo, di chi appare come l’estraneo e non solo lo straniero” (Enzo Bianchi).
Riguardo agli stranieri è curioso come siamo portati a identificare e definire spesso questa categoria di persone come caratterizzata da una mancanza essenziale: senza permesso di soggiorno, senza fissa dimora, senza lavoro. Al riguardo sappiamo che sono diffusi ovunque centri di identificazione e di espulsione. E poi ci sono le grandi concentrazioni di esclusi, quei campi in cui si ammassano i profughi, i senza patria cacciati dalle guerre e dalle carestie.
Presagiamo l’urgenza di tutto questo, la paura che ne deriva, ma ne constatiamo ahimè anche l’impotenza.
Ecco, unita a questa paura, la mixofobia spinge le persone a ritagliarsi isole di similitudine ben definite e sorvegliate, dando vita a forme identitarie e sociali di tipo settario, dove impera l’autorefenzialità.
Anche la mixofobia, al pari del fatalismo, connota i sistemi familiari rigidi, nasce come difesa del sistema e dei suoi membri, porta a chiusure, a giochi relazionali di potere e di controllo.
L’antidoto a queste paure c’è: educare ai valori universali e ai diritti dell’uomo.
L’EDUCAZIONE AI VALORI. A differenza degli apprendimenti, delle conoscenze e dei costume, che sono tipici di una cultura, di una nazione, di un’etnia, valori quali il senso della giustizia , la libertà, la responsabilità, la solidarietà, l’amicizia, la lealtà, la compassione, l’amore, vengono vissuti nello stesso modo dagli uomini di tutti i paesi e di tutti i tempi. Sappiamo questo e sappiamo anche, per contro, che l’assenza di valori – la mancanza di senso di responsabilità, di generosità, di giustizia, di tolleranza e di amore nella vita di tutti I giorni, nei rapporti reciproci con tutti gli altri – crea un mondo ostile e senza luce.
I valori umani vengono trasmessi essenzialmente con l’esempio dato dagli adulti ai giovani. Nel processo di umanizzazione, è vivendo con gli altri, partendo dalle esperienze concrete, e soprattutto nell’ambito della famiglia, delle relazioni con i propri cari e con le figure di riferimento, che i giovani potranno apprendere questi valori universali. Un tempo la condivisione dei compiti faceva partecipare il bambino alla vita degli adulti e gli faceva percepire e condividere sforzi, sudore, svaghi, offriva moltissime occasioni per trasmettere valori di responsabilità, coraggio, attenzione nei confronti degli altri. Oggi questa trasmissione basata sull’esempio e la pratica non è più organizzata come una volta, in riti e tradizioni.
Sta quindi a ciascuno di noi, genitore, insegnante, educatore, accendere la scintilla che dà senso alle cose nella vita di tutti i giorni. L’essenziale è in ciascuno di noi e sarà trasmesso alle generazioni successive che ne faranno un bene personale.
Quando gli educatori o I genitori si trovano in situazioni diverse rispetto alla propria costruzione valoriale e del mondo, distanti dalle proprie aspettative, o che agitano proprie paure, il processo educativo diviene qualcosa di complesso ed inconsueto.
IL PROGETTO EDUCATIVO
Ogni progetto educativo si sviluppa in un equilibrio tra protezione ed esposizione, entrambe necessità di sviluppo dei figli. I modelli mentali che entrano i gioco a diversi livelli sono il modello FARE, volto ad azioni concrete, al raggiungimento di obiettivi, alla “produttività” in senso lato,   ed il modello ESSERE, essenzialmente incentrato sulla valorizzazione della vita in sé. I fini dei progetti educativi sono il perseguimento di autonomia, libertà, responsabilità, orinetmaneto ai valori e felicità.
Secondo T. Gordon IL COMPITO DEI GENITORI è Creare un clima di accettazione, di fiducia e di rispetto che escluda giudizi, rinunci all’uso coercitivo del potere e che faciliti  la ricezione degli input educativi in modo costruttivo.
Ciò non significa adottare atteggiamenti disinteressati o permissivi, che escludano il ricorso a regole o ad una disciplina. Questo infatti finirebbe solo con il rendere ancora più insicuri e confusi i figli.
L’obiettivo è quello di apprendere a coniugare libertà e disciplina nell’ottica di consentire ad ogni individuo di seguire la propria tendenza attualizzante.
TRA REGOLE E PUNIZIONI. È un errore rimandare a lungo l’imposizione di regole e limiti, nel timore che un bambino nei primi anni di vita sia ancora troppo piccolo per tollerarli. È invece indispensabile farlo presto, affinchè il piccolo si abitui all’idea che anche chi lo ama di più al mondo non ritenga sempre giusto soddisfare i suoi bisogni o i suoi desideri, e malgrado la sua tenera età, non esita quando è necessario a imporgli frustrazioni e piccoli sacrifici. Ciò permette a un bambino di acquisire il senso della realtà, con i suoi limiti e le sue durezze, il prima possibile e nell’atmosfera più favorevole: nell’ambito cioè della protezione e dell’amore dei genitori.
Le punizioni sono generalmente inefficaci e solitamente aumentano la conflittualità e la ribellione. In determinate condizioni i figli possono imparare a rispettare spontaneamente i bisogni dei genitori e non per paura della deprivazione o della punizione che seguirà.
Quasi tutti i genitori ricorrono, spesso inconsapevolmente, agli stessi metodi educativi e di soluzione dei problemi familiari adottati in passato dai loro genitori.
Questi metodi coercitivi umiliano il figlio, gli offrono un’immagine molto negative di se stesso. Perciò anche quando riusciamo ad ottenere obbedienza in questo modo, lo facciamo a costo di provocargli risentimento e, di conseguenza, rabbia e desiderio di vendetta. Se poi come molto spesso accade, le minacce non vengono seguite dai fatti, è facile che nostro figlio impari a prenderle sempre meno sul serio.
Affinchè una punizione risulti educativa dovrebbe avere alcune caratteristiche: dovrebbe essere attiva e non passiva (chiedere al figlio di fare qualcosa piuttosto che negargli attività a cui tiene); dovrebbe essere pertinente, cioè nella stessa area in cui si è commessa la mancanza, dovrebbe essere tempestiva, non dlazionata nel tempo, lasciato in sospeso e rimandata; infine dovrebbe essere proporzionata a quanto è successo.
I genitori, si sa, non possono essere sempre d’accordo su cosa concedere e cosa negare a un figlio. Anzi succede spesso che uno tenda ad essere più tollerante dell’altro in molte occasioni, e che questo crei discussioni tra loro. Ed è esperienza comune che un figlio impari presto a trarre vantaggio dal disaccordo, facendo leva sull’appoggio di uno dei due per ottenere sempre ciò che desidera. Moltissimi genitori insomma finiscono con il credere che, proprio per evitare discussione e contrasti, sarebbe meglio assumere sempre posizioni identiche di fronte al figlio ma questo a lungo andare si rivela un obiettivo arduo da perseguire.
L’obiettivo più importante è proprio che i genitori proteggano la credibilità e la dignità l’uno dell’altro, perchè questo è un presupposto essenziale affinché ambedue conservino la capacità di influire positivamente sui figli. Per ottenere questo non è affatto necessario raggiungere una perfetta identità di vedute. Certo sarebbe opportuno, in molte delle situazioni in cui esistono delle divergenze, che i genitori negoziassero fra loro degli atteggiamenti comuni, in modo da limitare il più possibile di mostrarsi in contrasto di fronte ai comportamenti dei figli.
Quando però le divergenze sono inevitabili, non è giusto né tentare di nasconderle a tutti i costi, né fare a braccio di ferro con il partner per far prevalere il proprio punto di vista. L’ideale sarebbe invece mostrare ai figli che a nessuno dei due genitori piace mancare di rispetto all’altro, e assecondarli contro il suo volere, sebbene entrambi manifestino un parere divergente l’uno dall’altro.  Questo atteggiamento è segno di generosità e di affetto nei confronti dell’altro, il quale non mancherà di apprezzarlo e di sforzarsi di ricambiarlo in circostanze simili. Inoltre proprio in virtù di questo atteggiamento è probabile che con il tempo le posizioni dell’uno e dell’altro si avvicinino e i contrasti si attenuino.
Infine questo modo di affrontare le divergenze è il migliore esempio affinché i figli imparino ad essere più tolleranti delle opinioni altrui, anche quando non le condividono.
FASE 2 DEL LABORATORIO: ATTIVAZIONI PROPOSTE



Istruzioni indicative per l’attivazione sui bisogni del livello essenziale
Dopo avere letto con attenzione la scheda sopra riportata, rispondi alle seguenti domande e condividi quanto emerge con il/la partner o nel tuo ambiente esistenziale. 
  • Quel ragazzo, o mio figlio (o la persona che sento ora diversa e che vivo con tensione e difficoltà) in questa fase della sua vita, sta appagando il suo bisogno di amore? Come? Come lo chiede e come lo offre? E io come glielo offro e come glielo testimonio?
  • Come appaga il bisogno di nido, di protezione? Se mi immedesimo in lui/lei, mi sento protetto? Come? Da chi o da quale situazione? Come potrei rappresentare il suo “nido” ?  In quali situazione potrebbe sentirsi esposto? Come mai? Come reagisce o reagirebbe? E io come gli offro protezione e “nido”?  C’è qualcosa che vorrei o potrei modificare per migliorare il suo ed il mio vissuto?
  • Come soddisfa il bisogno di relazioni socio affettive stabili? Le chiede, le cerca, le fugge, le rifiuta? Come mai? Io in che caso mi comporterei in modo simile? Come lega con i compagni di scuola? Con i fratelli? Con gli amici? Con i genitori? Con gli adulti che frequenta? Cosa mi pare che cerchi o eviti nelle relazioni? E io come mi pongo nei suoi confronti? Quale tipo di stabilità gli offro? Con quali effetti?
  • Come comprende il proprio mondo? Come legge oltre i rapporti, i suoi impegni, l’organizzazione del suo tempo e del suo spazio? Io in che caso mi comporterei in modo simile? Cosa potrebbe vivere in relazione a questa area? IO che tipo di mondo gli testimonio? Con quali effetti? Come mai? Il mio è un mondo comprensibile e condivisibile? A quale prezzo? Quale spazio gli lascia per la sua diversità/specificità?
  • Come risponde al bisogno di vivere azioni dotate di senso compiuto, imitabili?  I miei comportamenti sono per lui modelli comprensibili, condivisibili, imitabili? Quale senso gli trasmetto nella quotidianità? E nelle situazioni particolari, di tensione, di difficoltà, di disagio mio, suo o dell’ambiente? C’è qualcosa che vorrei e potrei modificare in me per offrirgli maggiore senso ed essere un modello di azioni costruttive ed imitabili?
  • Il bisogno di fiducia nelle proprie possibilità il bisogno di sentirsi adeguati, è una della basi dell’auto stima. Da come si pone mi sembra che abbia un livello di autostima adeguato? Nei miei interventi educativi, la bilancia pende verso il positivo o tendo a sottolineare principalmente ciò che non va bene e dove e quando sbaglia? Quanto e come lo valorizzo? Quali sono le sue risorse più belle? E come le sta coltivando? Riesco a promuoverle anche se non coincidono con quanto mi sarei aspettato da lui/lei? Come potrei promuovere una crescita sana e realistica della sua fiducia in se stesso/a?
  • Quale rapporto ha con le responsabilità? Le responsabilità che mi aspetto lui/lei si assuma sono adeguate all’età e al contesto che vive? Quali valori percepisco nel suo agire e nel suo parlare? Cosa potrebbe mancargli/le per vivere serenamente e consapevolmente responsabilità adeguate all’età e al contesto? Io come vivo le responsabilità? Quale orizzonte di valori, col mio comportamento e con le mie scelte, al di là delle parole, testimonio? Con quale effetto? C’è discordanza tra ciò che “predico” e come vivo? Come mai? C’è qualcosa che vorrei e potrei modificare in me per agevolare il suo percorso di crescita? Da dove potrei iniziare e come? 

FASE 3 DEL LABORATORIO: I CASI ANALIZZATI IN GRUPPO E IN SIMULATA
CASO 1 (focalizzazione sulla “diversità” tra genitori e figli
Paolo (34 anni, ingegnere meccanico) e Teresa (30 anni insegnante in una scuola per infanzia) sono sposati da 13 anni. Hanno un figlio, Simone, di 8 anni, frequenta la terza elementare.
Si sono rivolti al Centro in quanto esasperati per “le continue segnalazioni di diversità” del loro figlio da parte di insegnanti, catechisti, allenatore sportivo.
L’allenatore lo ha allontanato dalla squadra in quanto “sia agli allenamenti che in partita si agita troppo, litiga con tutti, si offende se non gli passano la palla ma quando è lui ad averla non la passa a nessuno.
Nonostante i richiami e gli esercizi di punizione Simone non ha mai modificato il suo atteggiamento creando tensione tra i compagni e rallentando gli allenamenti di tutta la squadra”.
Le due catechiste affermano che non sta fermo un attimo, che non segue le lezioni, disturba, si comporta in modo maleducato, chiede di continuo quando la lezione finisce e potranno andare al campetto a giocare.
Due delle tre maestre si lamentano del fatto che Simone si oppone ai mandati e non segue le lezioni, non prende appunti, va a scuola senza aver svolto i compiti, spesso è aggressivo e offensivo, pericoloso per sé e per gli altri… affermano che sarebbe meglio certificarlo, così da avere almeno un insegnante di sostegno che si occupa di lui lasciando che la classe proceda con i lavori didattici. La terza maestra afferma di lavorare senza troppi problemi con Simone, basta tenerlo impegnato e dargli ogni tanto attenzione.
La mamma piange quasi ininterrottamente durante il primo colloquio. Si dice prima preoccupata, poi spaventata dal figlio, che non sembra normale, che non è come tutti gli altri e forse non lo è mai stato.
Ha insistito col marito perché si facessero approfondimenti specialistici, però lo psichiatra non ha rilevato nulla di particolare dal punto di vista clinico, se non una scarsa interiorizzazione del sistema di regole. Simone è intelligente, sveglio, particolarmente veloce nelle associazioni e portato ad annoiarsi facilmente se gli stimoli diventano per lui ripetitivi. E’ molto sensibile, ha richieste di attenzione, ma non tali da giustificare una certificazione, al massimo si potrebbe ipotizzare un piano educativo BES…


CASO 2: focalizzazione sul difficile rapporto con il modello di identità
I signori G. Vengono al Centro chiedendo un aiuto per la figlia Laura
Laura ha 16 anni, frequenta la classe terza di un liceo linguistico. Ha una sorella più grande di 3 anni.
E’ scappata due volte di casa, quando aveva 11 e 14 anni. Poi è sempre tornata con la coda tra le gambe dice la mamma. L’anno scorso ha raggiunto il culmine: ad una festa tra amici é andata in coma etilico perché ha bevuto quasi una bottiglia di Vodka alla pesca.
Il problema, afferma il padre, sono le su amicizie. Si circonda di sfigati e per essere come loro fa delle sciocchezze. Per me è tutta scena per attirare l’attenzione…”
La mamma sostiene che la figlia forse è limitata, non ha voglia di fare nulla, la sua camera è un disastro, non come la sorella che studia e tiene in ordine e aiuta anche in casa…
Passa ore attaccata al cellulare invece di studiare e poi prende brutti voti ma dice che è sfortuna o colpa dei prof …
Nel corso del colloquio emerge che Laura ha in generale un buon rapporto col padre, che passa anche più tempo con lei in quanto le fa “da taxista”, ma parlano molto e lei si confida, scherza col padre, mentre con la madre urla, proprio non si capiscono e non si sanno prendere.
La mamma stringendo i pugni e con le lacrime agli occhi alza il tono della voce: “ io le voglio bene, ma lei fa di tutto per farsi odiare, per farmi arrabbiare… fa sempre proprio le cose che non sopporto… poi mi risponde, mi giudica, e non si deve permettere… “
I consulenti cercano di approfondire il tema della comunicazione: come si svolgono le dinamiche con la mamma e di cosa Laura parla col padre…
Nel corso del secondo incontro riportano alcuni episodi;  nel commentarli il padre sbotta dicendo alla moglie: “tu con lei ti comporti diversamente che con Franca (l’altra figlia), anche se fanno cose simili con Franca non ti arrabbi a con Laura urli subito, per forza urla anche lei e con te non vuole parlare o ti fa i dispetti sul tenere ordine o cucinare o studiare… Per me il solo problema è lo studio … e che si cerchi amici più intelligenti…”
La madre risponde con un tono di voce altissimo, alzandosi dalla sedia: “Insomma tu la scusi sempre, fai il suo alleato, ma lei deve cambiare, non può rispondermi, urlare, mi tratta da deficiente, ma io non lo sono, io sono sua madre e mi deve rispetto…”
Al terzo incontro i genitori si presentano con la figlia, che desidera dire come la vede lei, ma chiede ai genitori di uscire per essere libera di parlare sinceramente. I genitori firmano la liberatoria e vanno a fare due passi…
La ragazza comunica con foga, aprendosi subito e gesticolando molto, fatica a stare ferma sulla sedia.
“io so cosa vi hanno detto: mio padre che non studio e sono viziata, poi che ho amici stupidi…mia madre che son sbagliata, cattiva, pazza…  Ma non è così…” (…) lei (la madre) non mi vuole bene, ma neanche a papà, lo sopporta perché è bravo e porta a casa i soldi, forse solo un pochino vuole bene a mia sorella, che è la sua cocchina… Fin da piccola mi sgridava e mi correggeva per ogni cosa, mi sta addosso, vede solo i miei sbagli e cosa non va bene, anche come mi vesto, tutto, tutto… poi certe sere vuole che le sieda accanto sul divano per stare abbracciate, mi accarezza i capelli… ma dopo poco ancora mi chiede di cambiare, di essere più come è lei e come è mia sorella… la verità è che a me fa schifo pensare di diventare come lei e mia sorella… io voglio essere diversa…

CONSIDERAZIONI FINALI
Il lavoro dei gruppi è stato stimolante ed intenso. Le simulate sono risultate una parte essenziale del laboratorio, in quanto hanno permesso un confronto ed una condivisione sia sulle tecniche di consulenza che sui vissuti del consulente durante il colloquio. La formazione permanente e l’aggiornamento così impostati hanno portato ad  una particolare attenzione all’auto ascolto e alla condivisione, consentendo, in un clima sereno e professionale, di aiutarsi tutti reciprocamente a crescere in consapevolezza e competenza.