LA DIFFICOLTÀ DEL
CONSULENTE E DELL’EQUIPE NELL’ACCOGLIERE LE DIFFERENZE.
Parte
teorica
Tutto
ciò che avvertiamo diverso da noi e che non riusciamo ad accettare
probabilmente ha a che fare con la nostra intimità e con la nostra capacità o
incapacità di accettarci così come siamo, considerando anche le nostre parti in
ombra (ciò che non ci piace di noi e ciò che spesso non controlliamo o
rifiutiamo).
La
difficoltà a percepire e ad accettare le differenze spesso risponde alla nostra
esigenza di rimanere fedeli ad un modello di conformità e di regole che ci
fanno sentire giusti e al sicuro. Ma la differenza non sempre risponde alle
categorie di pensiero: “è buono o cattivo”, “ fa bene o fa male”, quanto
piuttosto a un nostro schema di riferimento interno fatto di costrutti
(pensieri costituiti). Più questi sono rigidi tanto più faremo fatica a
cambiarli, a sostituirli, accettando anche idee e valori degli altri. Costrutti
meno rigidi formatisi attraverso la nostra esperienza e non solo indotti da
figure di riferimento (genitori, leaders, autorità) possono più facilmente fare
spazio a differenze e disuguaglianze.
Il
bene collettivo si costruisce e si mantiene avendo come valori il concetto di
confine, apertura, rispetto, amore e tolleranza.
Riferimenti
teorici: la psicologia umanistica di Carl Rogers con particolare riferimento
all’aspetto fenomenologico. Maslow
e la teoria dei bisogni.
Il Caso
Nell’èquipe
di intervisione formata dai vari operatori, un consulente porta il seguente
caso: coppia di genitori, 47 anni lei, 53 lui; tre figli, due maschi, uno di
dodici e l’altro di quindici e una femmina di sedici anni che si dichiara
lesbica.
La
mamma (impiegata) parlando della situazione con il consulente si dimostra
aperta e comprensiva verso la figlia, mentre il papà (professore di liceo) si
dichiara preoccupato e si mostra ostilità nei confronti della figlia. Definisce
l’età della ragazza un’età critica, una fase di passaggio e cerca di
convincerla che è prematuro darsi una definizione di genere così decisa e
definitiva.
La
moglie è invece innervosita dall’atteggiamento del marito e prende palesemente
“le parti” della figlia, mentre gli altri due figli a conoscenza della
situazione avvenuta attraverso mezze frasi, tensioni, litigi rimangono distanti
ma inquieti.
Si
determina così una crisi di coppia e familiare, perché ci sono continue
tensioni e discussioni poiché il padre, il più delle volte, vieta alla figlia
di uscire e di fermarsi a dormire da una sua amica che lui ritiene troppo
libera e con i genitori separati che non la controllano abbastanza.
L’èquipe
rispetto al caso
Nell’ascolto
del caso l’èquipe degli operatori si divide esattamente come i genitori: una
parte di loro sposa, anche se con cautela “la teoria” del papà, definendo l’età
della ragazza una fase di orientamento sessuale. L’altra parte dei consulenti
ha una visione della situazione più netta e precisa: secondo loro il papà
semplicemente non accetta l’omosessualità della figlia.
Si
accende attorno al caso una vivace discussione più che un confronto libero e
aperto; anche qui si ripropone lo stesso clima di spaccatura del caso
riportato.
Fase
operativa
Ascolto
attento dei vissuti dei consulenti e confronto sul significato personale di
differenza.
Ruolo
del consulente (accoglienza, tolleranza, qualità di presenza durante il
colloquio)
Autoascolto
del proprio sentire. Esperienza: focus sul corpo.
Esercizio:
Se c’è una difficoltà nel riconoscere l’altro diverso da te, in quale parte del
corpo senti questa difficoltà?
Capacità
di riconoscere e soddisfare i propri bisogni.
Uso
del SOSIA (lavorare sulle opinioni e sulle emozioni)
Consapevolezza
del proprio sentire
Il caso proposto nel
nostro gruppo e preso in esame da noi consulenti, ha messo in evidenza la
posizione differente di due genitori, papà e mamma, rispetto alle dichiarazioni
della figlia sedicenne di essere lesbica: rigidità e rifiuto del padre,
comprensione e accoglienza della madre.
Anche nell’equipe
d’intervisione dove è stato presentato il caso ci sono state due posizioni
diverse: alcuni consulenti hanno supportato le perplessità del padre rispetto
ad una precoce dichiarazione della figlia e altri hanno invece ritenuto questa posizione
solo una resistenza, una difficoltà ad accettare l’omosessualità della figlia.
Il focus del gruppo del
nostro laboratorio è stato quello di dare importanza al significato della diversità
e ci siamo poi confrontati su come noi consulenti l’ affrontiamo nei vari contesti.
Ci siamo anche interrogati sulle sensazioni e i sentimenti che abbiamo provato nell’ascoltare
e nel vedere i film proposti dal regista Francesco Falaschi, dove la diversità
era il tema centrale.
Dando ascolto al nostro
sentire abbiamo dato voce a ciò che può influenzare il vissuto di ognuno di noi
nell’accettare la diversità.
Da questa esplorazione
è emerso che innanzitutto noi consulenti siamo persone,ognuna con i propri
limiti, le proprie fragilità, le proprie paure più o meno consapevoli. Abbiamo
inoltre valutato l’appartenenza ai nostri valori, ideali, regole, schemi di
riferimento (pensieri costituiti, costrutti basati sull’esperienza vissuta e poi
simbolizzata e generalizzata). Più questi schemi di riferimento sono rigidi,
più noi fatichiamo a cambiarli e sostituirli, accettando le diverse idee degli
altri o ciò che arriva diverso da noi.
Il gruppo si è
confrontato in modo aperto e attento su tutte le idee emerse ed è giunto ad un
punto comune, che è stato quello di utilizzare per noi consulenti come
strumento idoneo l’autoascolto per dare voce al nostro sentire e lavorare sulla
consapevolezza di come i nostri modelli genitoriali e non solo, (insegnanti,
catechisti, autorità diverse) hanno
avuto su di noi nella costruzione di
idee, comportamenti ed opinioni.
A tal senso più volte è
stato evidenziato come l’utilizzo dello strumento del Sosia sia valido per
scoprire come possiamo lavorare per ripulire il “petalo” delle opinioni da credenze
e pregiudizi.
Ogni componente del
gruppo ha portato la propria esperienza ed ha attivato un ascolto empatico
verso l’altro, permettendo così una vera integrazione di esperienze e la piena
comprensione della diversità di ognuno.
Nella propria “valigia”
infatti ogni persona ha messo dentro “un pezzetto” della diversità degli altri.
Diversità vissuta non come distanza ma come valore e arricchimento per agire in
ogni contesto un clima di collaborazione,di rispetto, di serenità e di
accettazione incondizionata.
Fernanda Spada,
Patrizia Margiotta
Il
Gruppo di Gabriella Puzzarini
Nel
gruppo di lavoro formato da vari operatori viene letto il caso di una coppia di
genitori che si presentano portando il fatto che la loro figlia di 16 anni si
dichiara lesbica. Lui professore di Liceo è molto preoccupato per la figlia
tanto da impedirle di dormire a casa di una amica che ha i genitori separati temendo
che non la controllino abbastanza. La moglie, impiegata, si mostra invece
aperta e tollerante nei confronti della figlia, ma è invece ostile nei
confronti del marito perchè poco comprensivo.
Terminata
la lettura del caso la conduttrice chiede agli operatori le emozioni provate durante l’ascolto.
-
Emergono sentimenti di paura per l’argomento trattato, la
omosessualità,
-
di incertezza (“Come posso mettermi
in ascolto di questa coppia?”),
-
sentimenti di inadeguatezza: “Mi sento inadeguato come Consulente”.
- Qualcuno esprime senso di fastidio nei confronti del padre che si
dimostra ostile con la figlia.
-
qualcun altro avverte rabbia verso
la moglie che manifesta ostilità al marito.
-
C’è chi dice “mi sento smarrita di
fronte ai due genitori, che sembrano smarriti, a loro volta, in tale
situazione. “Forse rivivo il mio
smarrimento, quando avevo i figli adolescenti”.
-
Ancora, c’è chi sente affinità per i sentimenti del padre che esprime preoccupazione per le difficoltà che la
figlia potrebbe incontrare
-
e si sente disorientato di fronte
alla diversità.
-
Qualcuno esprime un senso di fatica per
dovere affrontare una cosa nuova!
Si
decide di fare una “simulata”. Subito emerge come dato preponderante la
conflittualità della coppia che impedisce, di fatto, di centrare l’argomento
proposto e portato dalla coppia: la diversità sessuale della figlia.
Segue
un giro di feed-back da parte del gruppo degli operatori: i contributi sono
numerosi e di varia natura. Qualcuno focalizza l’attenzione sulle sensazioni e
sui sentimenti provati: la paura dell’argomento “diversità sessuale” che sente
a livello dello stomaco; c’è chi ha sentito la rabbia della moglie verso il
marito, rabbia che come consulente cerca di mettere “dietro le proprie spalle”
e di tenere sotto controllo . Escono fuori poi pensieri, osservazioni,
interpretazioni:
-
qualcuno osserva che la mamma “sembra si sia alleata con la figlia”;
-
ancora, che nella simulata è emersa maggiormente la questione del litigio tra i
coniugi piuttosto che quella della diversità;
-
qualcun altro che “la conflittualità tra i coniugi potrebbe essere una
strategia inconsapevole degli stessi per evitare l’argomento scottante”.
La
conduttrice chiede poi un feed-back agli “attori” della simulata: il “Consulente” riferisce che la conflittualità della coppia non gli permette di centrare il problema portato dagli utenti (la diversità della
figlia) ed è di ostacolo ad “entrare in una sfera più intima con gli utenti”. La
consulenza resta così “in superficie”. Il “padre-marito”
conferma tutto ciò: all’inizio della consulenza ha sentito la mancanza di una relazione con il
Consulente (“… non mi è arrivato niente da parte del consulente”). Ma dopo la domanda del “Consulente”
alla” madre-moglie”: “Ciò che
dice tuo marito come ti fa sentire?”
Qualcosa cambia. Il “padre-marito”
riferisce: “ solo in quel momento mi sono sentito compreso ed accolto”.
E’
questo il momento in cui si entra nel cuore della consulenza, quando ci si
confronta su un livello più profondo rispetto a quello dei pensieri e delle
interpretazioni. All’interno del gruppo
qualcuno esprime tenerezza per questi genitori in difficoltà, vorrebbe
abbracciarli….
Si
passa quindi al momento della conclusione del lavoro con le considerazioni e le
nuove consapevolezze che il gruppo ha acquisito.
Oggi
noi nel qui ed ora, abbiamo fatto esperienza delle nostre diversità
personali, di fronte alle quali ognuno prova sensazioni, emozioni e pensieri
personali. Abbiamo colto la ricchezza
della diversità come opportunità di crescita, ma anche come occasione per
riconoscere i nostri limiti: non possiamo negarci il “proprio gusto”, non tutto
può piacerci.
E’
stato bello osservare la disponibilità di tutti a mettersi in gioco, a
confrontarsi sulla capacità di accettare la diversità: non sempre è facile, a
volte noi stessi abbiamo bisogno di aiuto.
L’equipe
e la supervisione sono strumenti che ci possono aiutare in tal senso.
Il
consulente non può risolvere i problemi degli utenti ma può “ascoltare” come
vive il suo disagio e così lo aiuta ad “ascoltare se stesso”.
Ciò
risulta impossibile se l’utente non si dà il permesso di accedere alle parti
più profonde di se’. In questo stanno i limiti della consulenza.
A coronamento di questa bella giornata di
studio, una fra noi operatori porta la sua esperienza di oggi: definendosi
“diversa da sempre” rivela che in questo scambio di emozioni si sente sollevata: “ ..tocco con mano che
c’è spazio anche per me; anche io posso entrare in relazione con gli altri!”.