MI ASCOLTO, TI ACCOLGO: LA
CONSULENZA CON LA PERSONA OMOSESSUALE E LA SUA FAMIGLIA.
Il lavoro svolto nel laboratorio si può
sintetizzare nella parola com-prendere, intesa
nel suo senso più profondo di prendere con sé e quindi accompagnare il vissuto
della persona omosessuale e della sua famiglia, per superare insieme i
pregiudizi e gli stereotipi che, nell’odierno panorama italiano, sono ancora
molto presenti. Per noi C.F. è fondamentale considerare la differenza di
orientamento sessuale come fonte di inclusività del diverso modo di vivere la
propria affettività, infatti l’omosessualità non è più considerata una
patologia, ma una variante sana e normale dell’affettività umana. Risulta
fondamentale un’adeguata formazione degli operatori per rispondere con
competenza ai bisogni della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali,
transgender) acronimo che ha sostituito il termine comunità gay perché più
inclusivo nel sottolineare la diversità delle esperienze in tema di affettività
e sessualità. Il C.F. che lavora con le persone omosessuali e le rispettive
famiglie, ha il compito di conoscere la realtà che ascolta in consulenza
prestando molta attenzione al linguaggio e alle terminologie che si utilizzano.
Un linguaggio adeguato e rispettoso è la base dell’accoglienza del cliente; è
no-minare la realtà stessa della persona per legittimare la vita e l’esperienza
del cliente e della famiglia senza minare la sua dignità e sensibilità.
Per il C.F. è importante usare un linguaggio neutro che non dia per scontato l’orientamento sessuale del cliente, ma lo porti ad autodefinirsi; non utilizzare il termine accettazione ma accoglienza per sottolineare l’accompagnamento nel percorso senza giudizio; non parlare di famiglia gay ricordandoci che la famiglia rimane il luogo di relazioni significative e non tutti i componenti sono omosessuali. Particolare importanza assume l’uso del termine coming out (uscire allo scoperto) che indica il processo in cui la persona omosessuale si assume la responsabilità della comunicazione della propria identità e affettività. Mentre il termine outing si riferisce alla rivelazione pubblica dell’omosessualità di una persona senza il suo consenso. Questo è il primo passo per comprendere ciò che la persona omosessuale si trova a vivere nel caso fosse fatta oggetto di rivelazione da parte di terzi ledendo la sua libertà e intimità.
Per il C.F. è importante usare un linguaggio neutro che non dia per scontato l’orientamento sessuale del cliente, ma lo porti ad autodefinirsi; non utilizzare il termine accettazione ma accoglienza per sottolineare l’accompagnamento nel percorso senza giudizio; non parlare di famiglia gay ricordandoci che la famiglia rimane il luogo di relazioni significative e non tutti i componenti sono omosessuali. Particolare importanza assume l’uso del termine coming out (uscire allo scoperto) che indica il processo in cui la persona omosessuale si assume la responsabilità della comunicazione della propria identità e affettività. Mentre il termine outing si riferisce alla rivelazione pubblica dell’omosessualità di una persona senza il suo consenso. Questo è il primo passo per comprendere ciò che la persona omosessuale si trova a vivere nel caso fosse fatta oggetto di rivelazione da parte di terzi ledendo la sua libertà e intimità.
IL CASO
In consulenza, dopo una ricerca personale, arriva
Marta, 55 anni, medico pediatra, sposata con Piero, 60 anni, chirurgo in forza
al Policlinico Gemelli di Roma. Di origine meridionale sono sposati da 25 anni
e genitori di Roberto, 17 anni. Sono una coppia molto religiosa e attiva nella
pastorale familiare. Roberto è studente brillantissimo al liceo classico e
progetta di intraprendere gli studi di medicina.
Marta espone la sua difficoltà con molta enfasi,
piange spesso e si interrompe faticando ad andare avanti. Dichiara che Roberto
è omosessuale ed è riuscito a comunicarlo ai genitori solo due mesi prima
dell’incontro di consulenza per paura di farli soffrire. Da quel giorno
l’equilibrio familiare, definito sereno, si rompe generando grande sofferenza
in tutti e tre. Marta parla della famiglia in termini di “la nostra era una
bellissima famiglia” e di Roberto come un figlio molto amato, atteso per tanti
anni, un ragazzone bellissimo e pieno di talenti e opportunità, centro
esclusivo di interesse e cura da parte dei genitori.
Afferma che nulla avrebbe lasciato immaginare che
fosse omosessuale, si è trattato di un fulmine a ciel sereno anche perché
spesso Roberto aveva portato a casa ragazze e avuto qualche relazione affettiva
femminile. Marta afferma di essere straziata dal dolore e dalla percezione che
il figlio possa buttare via la sua vita e, parole sue, essere in peccato
mortale quindi destinato all’inferno. Riferisce che inizialmente si è fatta
prendere dalla collera, da una aggressività manifesta che non ha saputo
controllare. Durante i tre incontri di consulenza effettuati ripete spesso che
il figlio non doveva farle questo. Ritorna più volte sul pensiero che
l’immagine che aveva di Roberto non è quella che ora vede in lui, era un
ragazzo brillante anche molto seducente nei confronti delle ragazze. Tutto è
crollato di colpo.
Il progetto che aveva sul figlio era di vederlo sposato con figli che l’avrebbero resa nonna mentre ora, quando lo immagina girare per mano con un “amico” (e sottolinea amico) non lo riconosce più. Anche il pensiero che possa vivere una sessualità con un maschio la turba parecchio. Dice di provare ribrezzo e un senso di schifo riguardo la vita sessuale del figlio così come lei la immagina. Marta riferisce di sentirsi catapultata in una dimensione che non le appartiene. Dal momento dell’outing si chiede giorno e notte da dove sia uscito lui così, come sia potuto accadere tutto questo in una famiglia come la sua, dove ha sbagliato e come possa fare per cambiare lo stato di fatto. Pensa, inoltre, di cercare un professionista dove portarlo per chiarirsi le idee. Si dice che sarà una fase transitoria ma un aiuto lo potrebbe riportare velocemente indietro alla “sua vita”. Riferisce inoltre di aver paura di esser giudicata dai familiari, amici, colleghi di lavoro che hanno sempre guardato alla loro coppia come ad un modello. Prova molta solitudine e la sua tentazione sarebbe di chiudersi in casa per evitare di incontrare gente. Ha smesso anche di frequentare il gruppo parrocchiale cui apparteneva da tempo e frequenta la messa domenicale in luoghi lontani dal quartiere. Solo alla fine del secondo incontro parla del marito: Piero dal giorno del coming out non parla più col figlio. Lo evita. Se entra in casa esce lui o cambia stanza e si chiede di continuo a chi lascerà la sua eredità, a chi passerà il suo cognome, come potrà presentarsi davanti ai colleghi con un tale disonore in famiglia. Il rapporto tra coniugi è molto teso: Marta si trova tra l’incudine e il martello. Vorrebbe aiutare il figlio ma non sa come relazionarsi al marito che vive tutta la sua sofferenza. Si è persa l’alleanza coniugale e genitoriale.
Il progetto che aveva sul figlio era di vederlo sposato con figli che l’avrebbero resa nonna mentre ora, quando lo immagina girare per mano con un “amico” (e sottolinea amico) non lo riconosce più. Anche il pensiero che possa vivere una sessualità con un maschio la turba parecchio. Dice di provare ribrezzo e un senso di schifo riguardo la vita sessuale del figlio così come lei la immagina. Marta riferisce di sentirsi catapultata in una dimensione che non le appartiene. Dal momento dell’outing si chiede giorno e notte da dove sia uscito lui così, come sia potuto accadere tutto questo in una famiglia come la sua, dove ha sbagliato e come possa fare per cambiare lo stato di fatto. Pensa, inoltre, di cercare un professionista dove portarlo per chiarirsi le idee. Si dice che sarà una fase transitoria ma un aiuto lo potrebbe riportare velocemente indietro alla “sua vita”. Riferisce inoltre di aver paura di esser giudicata dai familiari, amici, colleghi di lavoro che hanno sempre guardato alla loro coppia come ad un modello. Prova molta solitudine e la sua tentazione sarebbe di chiudersi in casa per evitare di incontrare gente. Ha smesso anche di frequentare il gruppo parrocchiale cui apparteneva da tempo e frequenta la messa domenicale in luoghi lontani dal quartiere. Solo alla fine del secondo incontro parla del marito: Piero dal giorno del coming out non parla più col figlio. Lo evita. Se entra in casa esce lui o cambia stanza e si chiede di continuo a chi lascerà la sua eredità, a chi passerà il suo cognome, come potrà presentarsi davanti ai colleghi con un tale disonore in famiglia. Il rapporto tra coniugi è molto teso: Marta si trova tra l’incudine e il martello. Vorrebbe aiutare il figlio ma non sa come relazionarsi al marito che vive tutta la sua sofferenza. Si è persa l’alleanza coniugale e genitoriale.
Alla fine del terzo incontro manifesta con grande
dolore e pianto la paura per la vita che aspetta Roberto, per una società che
potrebbe discriminarlo e per le possibili violenze in cui potrebbe incorrere.
Roberto è chiuso in se stesso ed inizia anche a non
voler uscire di casa. A scuola il profitto è sempre molto brillante anche se
gli insegnanti notano un certo isolamento rispetto al gruppo classe. In
famiglia spesso assume atteggiamenti effeminati, si veste in modo provocatorio
e fa pesanti apprezzamenti nei confronti dei maschi qualora si trova a vedere
la televisione con la madre. Marta reagisce con disgusto e senso di schifo.
L’unico amico con il quale si confida, preoccupato e incapace di gestire da
solo la situazione, riferisce alla madre l’intenzione di Roberto di andar via
di casa, lontano da tutti e di voler “scomparire” per non generare dolore.
Richiesta:
Marta viene in consulenza prima di tutto per poter
parlare di un dolore che non riesce a comunicare a nessuno. Chiede
esplicitamente un aiuto per comprendere cosa accade a Roberto e a se stessa
davanti ad una realtà verso la quale, afferma, di non avere nulla in contrario
ma che non immaginava toccasse a lei. Ha intenzione di recuperare il rapporto
con Roberto e di sostenere il marito nella sua sofferenza per poterlo
riavvicinare al figlio. Chiede altresì sostegno per poter elaborare la sua
sofferenza in un possibile confronto con altri genitori nelle sue stesse
condizioni ma ancora non si sente pronta.
Lavoro di gruppo
Si chiede al gruppo, sulla base anche della parte
teorica svolta, di individuare le criticità del vissuto di Marta rispetto
all’omosessualità, i suoi timori e i pensieri davanti ad una realtà che non
riesce a riconoscere. Si invita il gruppo ad elaborare un intervento
socio-educativo al fine di sostenere il percorso di consapevolezza di Marta e
di potere recuperare il suo ruolo genitoriale in una possibile alleanza con il
marito.
Il caso presentato al gruppo di lavoro evidenzia il
profondo dolore della madre alla scoperta dell’omosessualità del figlio, il lutto
per la perdita della famiglia idealizzata, i condizionamenti religiosi e i
pregiudizi sociali, le aspettative infrante da una realtà sconosciuta e ritenuta
“schifosa” nelle parole della madre, emozioni travolgenti e devastanti con un
netto rifiuto da parte del padre. Dal caso emergono chiaramente le tappe del processo
di coming out del figlio e dei genitori, tappe che il C.F è tenuto a conoscere
per comprendere in quale fase si trovi la persona e costruire con lei un
percorso di consapevolezza e definizione.
Il figlio:
·
Confusione d’identità (fase di confusione emotiva,
paura, vergogna, curiosità, rifiuto di sé)
·
Confronto dell’identità
(fase di profonda solitudine in cui la persona si sente diversa dagli altri e
dal mondo eterosessuale ritenuto l’unico realmente possibile e “giusto”)
·
Tolleranza dell’identità (l’omosessualità viene
tollerata come una sorta di disgrazia non elaborata e integrata)
·
Accettazione dell’identità (fase in cui si
rafforzano le relazioni attraverso gruppi e associazioni lgbt per tutelare la
dignità e i diritti personali)
·
Orgoglio (accettazione di sé con presenza di rabbia
e possibili atteggiamenti di rivendicazione verso la società e, a volte, verso la
chiesa a causa di possibili discriminazioni)
·
Sintesi dell’identità (fase ultima della piena
accoglienza di se stessi)
I genitori:
·
Rifiuto (non accettazione della realtà di vita)
·
Ipercontrollo dei figlio
·
Rimozione (si richiede al figlio di non parlare
della propria omosessualità lanciando un messaggio contraddittorio: “vai bene
ma non ne possiamo parlare”)
·
Sopportazione (il genitore crede e spera che si
tratti di una fase passeggera “risolvibile”)
·
Accettazione e accoglienza.
Il caso è stato trattato dividendosi in piccoli
gruppi di confronto e condivisione in cui far emergere sia le criticità della
madre rispetto al “problema”, sia le risorse cui attingere per affrontare la
realtà, valorizzare il vissuto del figlio e costruire, passo dopo passo, un’alleanza
genitoriale con il marito. Particolare rilievo è stato dato all’elaborazione
del lutto del figlio sperato e atteso verso l’accoglienza del figlio reale con il
suo percorso di vita, la sua affettività e progettualità.
Gli strumenti utilizzati nell’intervento sono stati:
·
Il sosia per comprendere quale fosse l’accesso
bloccato della madre sul quale incentrare il lavoro consulenziale: da tutti è
stato indicato nel petalo delle opinioni in quanto molti pensieri erano
formulati sulla base delle paure e non conoscenza della realtà, pensieri che
allontanavano la madre dal reale contatto con se stessa e con il figlio.
·
Il “diario
emotivo” per accogliere le sensazioni ed emozioni inizialmente molto forti e
totalizzanti.
·
La riformulazione per restituire gli aspetti positivi
del figlio e della famiglia ed accogliere una progettualità di vita che
includesse l’affettività e non solo l’aspetto sessuale.
·
Le schede di lavoro su stereotipi e pregiudizi
utili sia per il C.F. per un lavoro su se stesso al fine di offrire un ascolto
il più possibile “pulito”, sia per la madre per permettere un approccio alla
realtà omosessuale sgombro da credenze e sovrastrutture non agevolanti.
BIALETTI E PERRELLI