SEI IL VISITATORE

LABORATORIO 4 di FERETTI E BIALETTI


MI ASCOLTO, TI ACCOLGO: LA CONSULENZA CON LA PERSONA OMOSESSUALE E LA SUA FAMIGLIA.

Il lavoro svolto nel laboratorio si può sintetizzare nella parola com-prendere, intesa nel suo senso più profondo di prendere con sé e quindi accompagnare il vissuto della persona omosessuale e della sua famiglia, per superare insieme i pregiudizi e gli stereotipi che, nell’odierno panorama italiano, sono ancora molto presenti. Per noi C.F. è fondamentale considerare la differenza di orientamento sessuale come fonte di inclusività del diverso modo di vivere la propria affettività, infatti l’omosessualità non è più considerata una patologia, ma una variante sana e normale dell’affettività umana. Risulta fondamentale un’adeguata formazione degli operatori per rispondere con competenza ai bisogni della comunità LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) acronimo che ha sostituito il termine comunità gay perché più inclusivo nel sottolineare la diversità delle esperienze in tema di affettività e sessualità. Il C.F. che lavora con le persone omosessuali e le rispettive famiglie, ha il compito di conoscere la realtà che ascolta in consulenza prestando molta attenzione al linguaggio e alle terminologie che si utilizzano. Un linguaggio adeguato e rispettoso è la base dell’accoglienza del cliente; è no-minare la realtà stessa della persona per legittimare la vita e l’esperienza del cliente e della famiglia senza minare la sua dignità e sensibilità.
 Per il C.F. è importante usare un linguaggio neutro che non dia per scontato l’orientamento sessuale del cliente, ma lo porti ad autodefinirsi; non utilizzare il termine accettazione ma accoglienza per sottolineare l’accompagnamento nel percorso senza giudizio; non parlare di famiglia gay ricordandoci che la famiglia rimane il luogo di relazioni significative e non tutti i componenti sono omosessuali. Particolare importanza assume l’uso del termine coming out (uscire allo scoperto) che indica il processo in cui la persona omosessuale si assume la responsabilità della comunicazione della propria identità e affettività. Mentre il termine outing si riferisce alla rivelazione pubblica dell’omosessualità di una persona senza il suo consenso. Questo è il primo passo per comprendere ciò che la persona omosessuale si trova a vivere nel caso fosse fatta oggetto di rivelazione da parte di terzi ledendo la sua libertà e intimità.
IL CASO
In consulenza, dopo una ricerca personale, arriva Marta, 55 anni, medico pediatra, sposata con Piero, 60 anni, chirurgo in forza al Policlinico Gemelli di Roma. Di origine meridionale sono sposati da 25 anni e genitori di Roberto, 17 anni. Sono una coppia molto religiosa e attiva nella pastorale familiare. Roberto è studente brillantissimo al liceo classico e progetta di intraprendere gli studi di medicina.
Marta espone la sua difficoltà con molta enfasi, piange spesso e si interrompe faticando ad andare avanti. Dichiara che Roberto è omosessuale ed è riuscito a comunicarlo ai genitori solo due mesi prima dell’incontro di consulenza per paura di farli soffrire. Da quel giorno l’equilibrio familiare, definito sereno, si rompe generando grande sofferenza in tutti e tre. Marta parla della famiglia in termini di “la nostra era una bellissima famiglia” e di Roberto come un figlio molto amato, atteso per tanti anni, un ragazzone bellissimo e pieno di talenti e opportunità, centro esclusivo di interesse e cura da parte dei genitori.
Afferma che nulla avrebbe lasciato immaginare che fosse omosessuale, si è trattato di un fulmine a ciel sereno anche perché spesso Roberto aveva portato a casa ragazze e avuto qualche relazione affettiva femminile. Marta afferma di essere straziata dal dolore e dalla percezione che il figlio possa buttare via la sua vita e, parole sue, essere in peccato mortale quindi destinato all’inferno. Riferisce che inizialmente si è fatta prendere dalla collera, da una aggressività manifesta che non ha saputo controllare. Durante i tre incontri di consulenza effettuati ripete spesso che il figlio non doveva farle questo. Ritorna più volte sul pensiero che l’immagine che aveva di Roberto non è quella che ora vede in lui, era un ragazzo brillante anche molto seducente nei confronti delle ragazze. Tutto è crollato di colpo.
Il progetto che aveva sul figlio era di vederlo sposato con figli che l’avrebbero resa nonna mentre ora, quando lo immagina girare per mano con un “amico” (e sottolinea amico) non lo riconosce più. Anche il pensiero che possa vivere una sessualità con un maschio la turba parecchio. Dice di provare ribrezzo e un senso di schifo riguardo la vita sessuale del figlio così come lei la immagina. Marta riferisce di sentirsi catapultata in una dimensione che non le appartiene. Dal momento dell’outing si chiede giorno e notte da dove sia uscito lui così, come sia potuto accadere tutto questo in una famiglia come la sua, dove ha sbagliato e come possa fare per cambiare lo stato di fatto. Pensa, inoltre, di cercare un professionista dove portarlo per chiarirsi le idee. Si dice che sarà una fase transitoria ma un aiuto lo potrebbe riportare velocemente indietro alla “sua vita”. Riferisce inoltre di aver paura di esser giudicata dai familiari, amici, colleghi di lavoro che hanno sempre guardato alla loro coppia come ad un modello. Prova molta solitudine e la sua tentazione sarebbe di chiudersi in casa per evitare di incontrare gente. Ha smesso anche di frequentare il gruppo parrocchiale cui apparteneva da tempo e frequenta la messa domenicale in luoghi lontani dal quartiere. Solo alla fine del secondo incontro parla del marito: Piero dal giorno del coming out non parla più col figlio. Lo evita. Se entra in casa esce lui o cambia stanza e si chiede di continuo a chi lascerà la sua eredità, a chi passerà il suo cognome, come potrà presentarsi davanti ai colleghi con un tale disonore in famiglia. Il rapporto tra coniugi è molto teso: Marta si trova tra l’incudine e il martello. Vorrebbe aiutare il figlio ma non sa come relazionarsi al marito che vive tutta la sua sofferenza. Si è persa l’alleanza coniugale e genitoriale.
Alla fine del terzo incontro manifesta con grande dolore e pianto la paura per la vita che aspetta Roberto, per una società che potrebbe discriminarlo e per le possibili violenze in cui potrebbe incorrere.
Roberto è chiuso in se stesso ed inizia anche a non voler uscire di casa. A scuola il profitto è sempre molto brillante anche se gli insegnanti notano un certo isolamento rispetto al gruppo classe. In famiglia spesso assume atteggiamenti effeminati, si veste in modo provocatorio e fa pesanti apprezzamenti nei confronti dei maschi qualora si trova a vedere la televisione con la madre. Marta reagisce con disgusto e senso di schifo. L’unico amico con il quale si confida, preoccupato e incapace di gestire da solo la situazione, riferisce alla madre l’intenzione di Roberto di andar via di casa, lontano da tutti e di voler “scomparire” per non generare dolore.
Richiesta:
Marta viene in consulenza prima di tutto per poter parlare di un dolore che non riesce a comunicare a nessuno. Chiede esplicitamente un aiuto per comprendere cosa accade a Roberto e a se stessa davanti ad una realtà verso la quale, afferma, di non avere nulla in contrario ma che non immaginava toccasse a lei. Ha intenzione di recuperare il rapporto con Roberto e di sostenere il marito nella sua sofferenza per poterlo riavvicinare al figlio. Chiede altresì sostegno per poter elaborare la sua sofferenza in un possibile confronto con altri genitori nelle sue stesse condizioni ma ancora non si sente pronta.
Lavoro di gruppo
Si chiede al gruppo, sulla base anche della parte teorica svolta, di individuare le criticità del vissuto di Marta rispetto all’omosessualità, i suoi timori e i pensieri davanti ad una realtà che non riesce a riconoscere. Si invita il gruppo ad elaborare un intervento socio-educativo al fine di sostenere il percorso di consapevolezza di Marta e di potere recuperare il suo ruolo genitoriale in una possibile alleanza con il marito.
Il caso presentato al gruppo di lavoro evidenzia il profondo dolore della madre alla scoperta dell’omosessualità del figlio, il lutto per la perdita della famiglia idealizzata, i condizionamenti religiosi e i pregiudizi sociali, le aspettative infrante da una realtà sconosciuta e ritenuta “schifosa” nelle parole della madre, emozioni travolgenti e devastanti con un netto rifiuto da parte del padre. Dal caso emergono chiaramente le tappe del processo di coming out del figlio e dei genitori, tappe che il C.F è tenuto a conoscere per comprendere in quale fase si trovi la persona e costruire con lei un percorso di consapevolezza e definizione.
Il figlio:
·         Confusione d’identità (fase di confusione emotiva, paura, vergogna, curiosità, rifiuto di sé)
·          Confronto dell’identità (fase di profonda solitudine in cui la persona si sente diversa dagli altri e dal mondo eterosessuale ritenuto l’unico realmente possibile e “giusto”)
·         Tolleranza dell’identità (l’omosessualità viene tollerata come una sorta di disgrazia non elaborata e integrata)
·         Accettazione dell’identità (fase in cui si rafforzano le relazioni attraverso gruppi e associazioni lgbt per tutelare la dignità e i diritti personali)
·         Orgoglio (accettazione di sé con presenza di rabbia e possibili atteggiamenti di rivendicazione verso la società e, a volte, verso la chiesa a causa di possibili discriminazioni)
·         Sintesi dell’identità (fase ultima della piena accoglienza di se stessi)
I genitori:
·         Rifiuto (non accettazione della realtà di vita)
·         Ipercontrollo dei figlio
·         Rimozione (si richiede al figlio di non parlare della propria omosessualità lanciando un messaggio contraddittorio: “vai bene ma non ne possiamo parlare”)
·         Sopportazione (il genitore crede e spera che si tratti di una fase passeggera “risolvibile”)
·         Accettazione e accoglienza.
Il caso è stato trattato dividendosi in piccoli gruppi di confronto e condivisione in cui far emergere sia le criticità della madre rispetto al “problema”, sia le risorse cui attingere per affrontare la realtà, valorizzare il vissuto del figlio e costruire, passo dopo passo, un’alleanza genitoriale con il marito. Particolare rilievo è stato dato all’elaborazione del lutto del figlio sperato e atteso verso l’accoglienza del figlio reale con il suo percorso di vita, la sua affettività e progettualità.
Gli strumenti utilizzati nell’intervento sono stati:
·         Il sosia per comprendere quale fosse l’accesso bloccato della madre sul quale incentrare il lavoro consulenziale: da tutti è stato indicato nel petalo delle opinioni in quanto molti pensieri erano formulati sulla base delle paure e non conoscenza della realtà, pensieri che allontanavano la madre dal reale contatto con se stessa e con il figlio.
·          Il “diario emotivo” per accogliere le sensazioni ed emozioni inizialmente molto forti e totalizzanti.
·         La riformulazione per restituire gli aspetti positivi del figlio e della famiglia ed accogliere una progettualità di vita che includesse l’affettività e non solo l’aspetto sessuale.
·         Le schede di lavoro su stereotipi e pregiudizi utili sia per il C.F. per un lavoro su se stesso al fine di offrire un ascolto il più possibile “pulito”, sia per la madre per permettere un approccio alla realtà omosessuale sgombro da credenze e sovrastrutture non agevolanti.
BIALETTI E PERRELLI